Viaggio nella mente di dodici personaggi che hanno fatto la storia, per scoprirne le problematicità e ridurre la comune stigmatizzazione dei disturbi psicologici
Che Andy Warhol fosse un accumulatore è cosa nota: le sue “capsule del tempo”, scatole contenenti oggetti di ogni tipo(dagli scontrini alle cartoline o agli involucri di cibo), sono un esempio di come tradurre un sintomo, cioè la difficoltà di separarsi dagli oggetti, in una forma d’arte. Sapere che personaggi che hanno dato un enorme contributo alla cultura contemporanea non fossero proprio perfetti, a volte, può essere confortante.
Nel suo recente libro dal titolo “Andy Warhol was a Hoarder. Inside the minds of History’s great personalities”, la giornalista americana Claudia Kalb ripercorre la vita di personaggi che hanno fatto storia, ricostruendone le caratteristiche di personalità attraverso documenti e interviste a specialisti della salute mentale. Dodici le personalità descritte e le diagnosi elaborate,tra cui lo scrittore russo Fëdor Dostoevskij, dipendente dal gioco d’azzardo, l’archistar Frank Lloyd Wright,che presentava un disturbo narcisistico di personalità, e il fisico Albert Einstein, con una diagnosi di sindrome di Asperger.
Senza volerne semplificare eccessivamente la complessità, l’autrice ricostruisce il ruolo che i sintomi patologici possono aver avuto nella loro vita. In alcuni personaggi, non ne hanno limitato il successo e l’influenza sulla cultura, pur costituendo una costante sofferenza mai risolta: Charles Darwin, ad esempio,combatté tutta la vita con i sintomi somatici dell’ansia e con le preoccupazioni legate alla sua salute. L’autore de “L’evoluzione della specie” ben rappresenta il legame esistente tra il corpo e la mente, dimostrando come un sintomo, in questo caso la nausea o il mal di stomaco, possa essere più facilmente attribuito a una causa organica quando invece può essere determinato da un’attivazione ansiosa cronica.
In altre personalità, i sintomi patologici non sono stati trattati con cure adeguate: Marilyn Monroe, ad esempio,non ricevette mai un trattamento appropriato per la cura del disturbo borderline di personalità di cui soffriva. Arthur Miller, il drammaturgo statunitense che fu suo marito, sosteneva che la psicoanalisi, alla quale la Monroe fu sottoposta per svariati anni, fosse in realtà dannosa per lei, perché alimentava il “rimuginio” e inibiva l’azione. Oggi la Monroe potrebbe essere curata con la Dialectical Behavioral Therapy (DBT), il programma d’intervento attualmente più efficace nel trattamento del disturbo bordeline, basato sull’apprendimento di specifiche abilità per regolare le emozioni e per superare i momenti di elevata sofferenza. La DBT è mirata principalmente alla prevenzione del comportamento suicidario, un rischio che spesso si trasforma in realtà, come la storia di Marilyn Monroe, al di là dei dubbi che avvolgono la sua morte, può testimoniare.
Sono infine descritti casi di successo terapeutico, come Betty Ford, moglie del trentottesimo Presidente degli Stati Uniti d’America, che seguì un programma di riabilitazione per la sua dipendenza da alcol e analgesici. L’efficacia del trattamento riabilitativo e dell’esperienza di una vita libera dalla dipendenzasi trasformò, inoltre, in una forte motivazione ad aiutare gli altri nella sua stessa situazione: nel 1982 fondò in California il Betty Ford Center, un centro di riabilitazione ancora oggi attivo.
Il messaggio di questo libro è molto importante. Quando si ha un problema psicologico invalidante è frequente provare vergogna, ma scoprire che molte tra le grandi personalità della storia non siano state più “sane”di noi aiuta a ridurre la tendenza a stigmatizzare il disturbo psicologico. Ci fa rendere conto che il confine tra funzionamento normale e patologico è labile e può darci un motivo in più per cercare aiuto nei momenti di difficoltà.
Per approfondimenti:
Claudia Kalb (2016) Andy Warhol was a Hoarder: Inside the minds of History’s great personalities. National Geographic, Washington, D.C.